Niccolò Fabi e GnuQuartet | Recensione
Molto bene per Niccolò Fabi all’Umbria Folk Festival: ottima musica, bellissime parole e grande partecipazione dal pubblico
Niccolò Fabi e lo GnuQuartet sono stati i protagonisti della terza serata dell’Umbria Folk Festival. Il palco all’interno della Fortezza Albornoz, a pochi passi dal centro storico di Orvieto, però, è toccato prima agli Street Clerks. La band, reduce da X Factor, ha scelto Orvieto per l’unica tappa umbra del Fuori Tour 2015, come nel titolo dell’album d’esordio in cui sono raccolti brani inediti e cover, così come nella scaletta del concerto sulla rupe. A seguire, Cecilia, in antipasto all’atteso cantautore romano. Cecilia e la sua arpa, voce e musica, con alcuni brani, in inglese e in italiano, dell’album d’esordio ‘Guest’.
Sono le 22.23 e Niccolò Fabi, accompagnato da violino, viola, violoncello e flauto traverso degli GnuQuartet conquista finalmente la ribalta. Si parte con ‘Milioni di giorni’ e ci si cala subito nell’universo Fabi: semplice e profondo. Il pubblico si riconosce presto in questo mood e partecipa bene sin dal secondo brano, quando si sostituisce a Fabi e pronuncia il primo ‘Oriente’ dell’omonimo pezzo. Quindi ‘Offeso’ e le prime parole di un Fabi che invita il pubblico a battere le mani sul brano “per fare amicizia”. “Andando insieme – dice ai suoi fan – il risultato è migliore: questo è quello che la musica potrebbe insegnare alla politica”. Quindi ‘È non è’ e poi il viaggio breve dalla chitarra al piano.
Alle 22.46 il pubblico è ormai attento e totalmente preso e arriva ‘Una buona idea’. Si inizia ad alzare un fresco venticello sulla città e con questo aumenta la partecipazione di tutto il pubblico che intona insieme, ripetute volte, quel ‘Mi piacerebbe essere padre di una buona idea’, cuore del testo. Quindi, a seguire, ‘Il negozio di antiquariato’ e poi tutta la poesia di ‘Ecco’, brano manifesto della cantautorialità unica di Fabi, vera e allo stesso tempo quasi mistica. Un lungo applauso e poi si procede. Ma è tempo di presentare a tutti ‘Giovanni’, uno strumento a corde, fra ukulele e sitar, senza cui – racconta Fabi – non sarebbe mai stata scritta ‘Giovanni sulla terra’, singolo all’interno dell’album ‘Il padrone della festa’ frutto dell’amatissimo e fortunatissimo lavoro del trio Fabi Silvestri Gazzè. Un pezzo di vita che Fabi continua a raccontare, sul palco del Folk, a seguire, con ‘L’amore non esiste’.
Dopo un breve divertente siparietto con citazione di Gazzè, si torna seri con ‘Solo un uomo’ e poi al piano con ‘La promessa’. “Ho accettato di essere parte del Folk Festival – ha detto l’artista romano – perché Folk significa terra, tradizione, natura, ritorno all’essenziale. E in questi concetti mi trovo comodo”. Immancabile ‘Costruire’ e, per ritornare ai due ultimi compagni di palco, ‘Vento d’estate’ con una lunghissima coda, botta e risposta con il pubblico che non si perde mai d’animo e intona, volta dopo volta, i motivetti richiesti dal cantante. Ancora protagonisti i fan in platea per ‘Lontano da me’ (che arriva dopo ‘Lasciarsi un giorno a Roma’) per tutto il brano e fino al culmine, quel ‘Allontanarsi è conoscersi’ sillabato e urlato che Fabi lascia intonare ai suoi ascoltatori ancora cantanti.
Il concerto è finito, è tempo di inchini, di fuori fuori e poi, come sempre, di seconde uscite. Nell’ultimo atto del live, prima di lasciare spazio al dopo Fabi, che in questo terzo appuntamento del Folk è stato affidato alla Notte Meticcia con ska, reggae e mestizo di El V and The Gardenhouse con Sergent Garcia, la vecchia ‘Fuori o dentro’ riarrangiata dal GnuQuartet e rieditata appositamente per il tour che li ha visti insieme su tanti palchi d’Italia, ultimo quello di Orvieto. I musicisti tutti escono e Fabi tiene testa a una pioggia di richieste dalla platea, risponde che è lui a dover scegliere e sceglie proprio bene: l’ultimo brano è la cover di ‘Linderbergh’ di Ivano Fossati.
Ivano Fossati per chiudere, dunque, Gazzè e Silvestri per condire, più indietro e più avanti nella tracklist del live tracce di Dalla, sapori di un primissimo De Gregori e odori di Battisti. Così la sensazione di aver assistito a qualcosa che resterà nel tempo forse più di quanto adesso non crediamo, come quando i nostri genitori, capelloni, con i pantaloni a zampa e le zeppe, avevano intonato Piazza Grande, Emozioni o Alice, senza sapere che il seme di quella musica avrebbe oltrepassato gli allora lontanissimi Anni 2000.
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