L’Oms l’ha inserito nella macro categoria della salute

Il benessere psicologico rientra nella più ampia categoria della salute dopo che l’Organizzazione mondiale della sanità ha ampliato il concetto. Detto in una frase: “Gli individui devono avere la possibilità di sentirsi a proprio agio nelle circostanze che si trovano a vivere”. Trovandosi nel benessere psicologico, l’essere umano riesce a sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali per rispondere alle esigenze quotidiane, per stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri individui, adattandosi in modo costruttivo alle condizioni esterne e ai conflitti interni.

L’Oms è intervenuto dunque sulla materia in modo importante. Del resto, la ricerca del benessere è da sempre lo scopo dell’uomo sul pianeta. Già 50 anni fa, la stessa Organizzazione definì la salute “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non solamente l’assenza di disagio o malattia”.

Oggi, però, siamo ancora a un punto morto: ci focalizziamo infatti sul disagio, sulla malattia e sul funzionamento negativo. Le ricerche epidemiologiche si concentrano prevalentemente sulla misurazione della mortalità e della morbilità tra gli esseri umani, senza preoccuparsi di quantificare il benessere e il funzionamento positivo. Si concentrano sulla misurazione dei problemi fisici: malattie, dolore, disturbi del sonno, sintomi in generale. Su quelli mentali: disfunzioni cognitive, ansia, stress, depressione e ostilità. Su quelli sociali: limitazioni di ruolo, disagi familiari, disfunzioni sessuali.

Benessere: tante definizioni

Quello che manca, però, è il vero concetto di benessere. Esistono più definizioni per il benessere psicologico e la felicità. Manca un accordo. Il benessere soggettivo è soddisfazione della vita, si basa insomma su una valutazione globale della qualità della vita secondo i criteri soggettivi di un individuo. In base a questa definizione, esistono alcuni misuratori, delle scale: life satisfaction index di Neugarten, satisfaction withe life scale (SWLS) di Diener et al.. il singolo indice di felicità,

Ma di definizioni, poi, ce ne sono anche altre. C’è chi parla di benessere quando c’è una predominanza di affetti positivi su quelli negativi. Bradburn è infatti convinto che la felicità sia un giudizio globale che le persone formulano comparando i loro affetti negativi con quelli positivi. Ha costruito uno strumento autovalutativo, l’Affect Balance Scale, più tardi ripreso da Watson per la Positive and Negative Affect Scales (PANAS). Con quest’ultima, è possibile quantificare gli stati emotivi positivi e negativi in un lasso di tempo determinato. Altri ricercatori ancora vedono il benessere psicologico come una serie di componenti quali l’autostima, l’ottimismo, gli stati positivi d’umore, il locus di controllo e il senso di coerenza.

La definizione in campo clinico

In campo clinico, il benessere è invece interpretato come la mancanza di sintomi legati a depressione e ansia. Ed è stato usato il Symptom Questionnaire di Kellner. Associa a quattro scale di sintomi (ansia, depressione, somatizzazione e ostilità) corrispondenti scale di benessere (rilassatezza, contentezza, benessere fisico e buona disposizione).

Citiamo infine Carol Ryff, secondo cui la felicità non è tutto e la struttura sottostante al benessere è molto più complicata di quanto appaia: è un processo multidimensionale e dinamico che comprende vari aspetti. Con questo modello è stato creato un questionario autovalutativo (Psychological Well-Beins, PWB) per misurare le sei dimensioni del benessere estrapolate da Ryff. In Italia, questo test è stato proposto a pazienti ansiosi e con disturbi dell’umore. Le sei categorie sono: autoaccettazione, relazioni interpersonali positive, autonomia, controllo ambientale, crescita personale e scopo nella vita.

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