Intervista a Pierpaolo Baldelli

La storia di Pierpaolo Baldelli inizia a Foligno il 27 Aprile 1973. Colpisce sentirlo raccontare di sé come di “un ragazzo normale, ma con una curiosità e una passione musicale molto forte”.

Parlare di lui in ambito strettamente professionale non è stato semplice: la grande amicizia che ci lega è ormai radicata nel tempo; eppure ho cercato, con questa intervista, di dare più spazio al professionista che non all’uomo, anche allo scopo di far conoscere quanto di buono sforna la nostra Umbria, terra che, a volte, sembra quasi vuota di eccellenze “umane”. Ecco, Pierpaolo è una vera e propria eccellenza, e al di là di ciò che potrete cogliere nell’intervista che segue, va detto che l’uomo ha grandi valori: ha la rara dote di saper ascoltare e per un amico vero si spezzerebbe in quattro; frequenta a Foligno gli stessi amici di sempre ed è fidanzato da 12 anni con Giada. Quando partirono per Milano dieci anni fa, non sapevamo quando l’avremmo rivisto né se sarebbe cambiato. Ma la forza di colui che raggiunge certi livelli professionali è quella di restare sempre la stessa persona che hai conosciuto da bambino. L’umiltà è davvero una virtù da “grandi”. Questa intervista, forse, trasmette da parte mia una certa voglia di celebrarlo, poiché si sta realizzando nei suoi sogni, ed ogni volta che ognuno dei nostri amici veri ottiene un successo, è come se quel successo fosse il nostro.

Pierpaolo, magari la maggior parte dei tuoi amici e forse anche qualche tuo familiare ancora non ha capito bene qual è la tua figura professionale… Te la senti di spiegarlo una volta per tutte? (ride sotto i baffi…) «Sono direttore di produzione a livello nazionale; ciò significa che tutto quello che succede a livello tecnico, burocratico, logistico ed economico in un tour musicale è sotto la mia diretta responsabilità».

Iniziamo raccontando come sei entrato nel mondo dello spettacolo musicale… «Sono sempre stato interessato all’aspetto organizzativo del settore musicale, così ho approfittato della pubblicazione di un bando di concorso per la formazione della figura professionale di operatore per le attività di spettacolo e su 3.000 partecipanti sono arrivato terzo… da lì è cominciata la mia avventura. Sono sempre stato affascinato dal mondo dello spettacolo musicale: sono un amante dei concerti più che della musica da studio».

Spiegaci meglio il concetto… «A prima vista possono sembrare due universi complementari, ma di fatto per me non lo sono… La musica pubblicata su disco può essere recepita in maniera più solitaria e intimista, mentre i concerti sono un grande momento di aggregazione e socializzazione, in poche parole il rito collettivo per antonomasia».

Pensi che la definizione di “mediano da tour” ti possa calzare in qualche modo? «Credo sia perfettamente azzeccata, poiché il mediano per definizione è quello che si accolla tutto il lavoro sporco, in pratica lavora, suda, organizza e “mette una pezza“ per tutti».

Ma come, il mondo della musica non era solo divertimento? «È molto meno divertente di quanto si possa immaginare, in quanto il tempo lontano da casa è moltissimo, così come la quantità di chilometri macinati. Abbiamo giornate di lavoro da rispettare rigorosamente che sono fatte anche di 18 ore lavorative consecutive, sperando che non ci siano intoppi, senza considerare poi la mole immane di lavoro di ufficio che un tour reca a monte».

Quante persone sono sotto la tua responsabilità durante un tour? «Dipende, in un tour possono andare da un minimo di 25 fino ad un massimo di 300… dipende dalla portata del tour».

Qual è stata l’evento più grande al quale hai collaborato? «Vasco Rossi a Catanzaro per Italia 1, di fronte a 450.000 persone (fonti della prefettura)».

Sei un free-lance o collabori con qualche agenzia? «Sono un free-lance, ma collaboro con le due principali agenzie italiane: la F&P Group e Live Nation, tramite le quali ho avuto l’opportunità di lavorare ai tour di Alanise Morrissette, Toto, Ritchie Blackmore, Negramaro, Ivano Fossati, Le Vibrazioni, Fiorella Mannoia, solo per citarne alcuni».

Che cosa hai provato la prima volta che ti sei trovato dietro le quinte di un concerto? «Un senso di grande confusione, era molto strano ed eccitante allo stesso tempo, vedere gli occhi del pubblico invece dei capelli e delle schiene, come ero solito fare quando andavo da spettatore».

Andando più sullo specifico, che rapporto si instaura tra la tua figura di direttore di produzione e l’artista? «I tour sono una cosa molto complessa quindi tra me e l’artista ci deve essere un “ fil rouge“ che ci faccia trovare una fiducia estrema l’uno nei confronti dell’altro, ma tradotto in “soldoni”, l’artista si deve concedere professionalmente quasi al 100% nei miei confronti».

Insomma l’artista è solo la ciliegina sulla torta? «“Make it Happen”, dicono gli americani agli artisti prima di salire sul palco. Una volta che tutto è organizzato sono loro l’anello che chiude la catena quotidiana di un tour».

La musica di oggi è quella di ieri? «Non è quella di ieri perché ci sono due fattori che l’hanno modificata profondamente: uno è internet e l’altro sono i talent-show. Da un punto di vista prettamente di business, il web ha completamente stravolto i canoni di una volta, mentre i talent-show ti fanno arrivare in fretta al grande pubblico».

Quindi, se vogliamo interpretare le tue parole, oggi c’è meno qualità? «La qualità c’è sempre stata, con la differenza che oggi va ricercata nei meandri del business discografico, troppo incline a far passare prodotti mediocri per fenomeni».

Ma allora, i nuovi mezzi di divulgazione della musica: sì o no? «Ti direi no, perché il download illegale ha creato un danno economico e occupazionale le cui conseguenze sono enormemente più rilevanti di quanto si possa immaginare, bisognerebbe avere tutto lo spazio di fil rouge per sviscerare l’argomento, cosa che purtroppo non possiamo fare. Direi internet sì, utilizzato in maniera onesta, vedi ITunes, dal quale si può scaricare qualsiasi brano a pochi centesimi andando a remunerare giustamente tutti i compartimenti che con la musica lavorano e vivono».

Mi stai dicendo che qualcuno uccide la musica in Italia? «Sì! Le istituzione per prime, parificandola a un bene di lusso e non ad un bene culturale. Pensa solo che l’I.V.A. su un qualsiasi libro è al 4% mentre sui dischi è al 20%. Nonostante le associazioni di categoria si battano da anni su questo terreno, ad oggi tecnicamente parlando, per lo Stato fare musica non è cultura».

Cosa ti lascia dentro un tour alla sua fine, oltre alla soddisfazione professionale? «Inevitabilmente un grande senso di nostalgia e amarezza, perché passando tanto tempo in giro con delle persone intorno a te, si creano dei legami quasi fosse una famiglia allargata e allontanarsi è sempre difficile».

Quindi anche nel tuo settore c’è spazio per i sentimenti veri? «L’ambiente dei concerti è molto cinico, competitivo e isterico; detto questo ci sono rapporti di forte affetto e di reciproca stima professionale assolutamente schietti e sinceri tra tutte le parti in causa, siano essi artisti o componenti dello staff».

Puoi farmi qualche esempio? «Ti cito, per semplificare, Mannoia e Fossati o Ferro e Pausini».

Hai un ricordo particolare della tua vita in tour? «Ne avrei molti, ma spero capirete non possono essere raccontati poiché riguardano vizi e virtù degli artisti. A livello personale mi piace ricordare i complimenti ricevuti da Kevin Hopgood referente dei Toto e mostro sacro delle produzioni musicali in occasione di un loro concerto a Mantova andato benissimo e il silenzio della romanista Fiorella Mannoia durato 10 giorni dopo un derby Roma – Lazio finito 2 – 4 per i biancocelesti, dei quali sono irriducibile tifoso…»

Ti vedi ancora per molto in questa veste di mediano della musica o pensi che un giorno farai anche la punta? «Fare questo salto di qualità non è facile, anche se la vita è fatta per camminare avanti e non indietro… ma con l’impegno dovuto e con un pizzico di fortuna chissà che in futuro non ci riesca…»

Hai un sogno nel cassetto? «Professionalmente parlando è organizzare il più grande evento pop-rock italiano nella mia amata Foligno, ma visto il momento storico e guardando bene la città penso che rimarrà nel cassetto ancora a lungo».

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