C’era una volta un piccolo rione della quintana di Foligno che si chiamava, e si chiama tutt’ora, rione La Mora. I suoi contradaioli sono sempre stati un popolo variopinto, colorato, animato da una forte passione per la Quintana: si sono sempre contraddistinti per l’impegno messo nella manifestazione. Tanti priori si sono succeduti alla guida del rione La Mora, che, diciamoci la verità era decisamente la “Cenerentola” delle contrade folignati, ma, chi per incapacità propria e chi per sfortuna, non sono stati capaci di far fare il salto di qualità che la contrada meritava. Nessuno me ne voglia, io AMO tutti i “moraioli”, ma sotto la guida di Decio Barili siamo riusciti a compiere quel salto e se oggi sediamo con entrambe le scarpette di cristallo ai piedi presso certi tavoli, molto del merito suo. Certo è che senza l’apporto infaticabile dei suoi luogotenenti, Decio non avrebbe fatto nulla, ma la sua impronta è stata fondamentale e la sua serietà è riconosciuta al “tavolo dei potenti”, tanto che non è un caso se lo hanno invitato a prendere le redini dell’ ”Ente Fuga del Bove” e far parte della commissione disciplinare della Federazione Ciclistica Nazionale Italiana. Nessuno pensi che Decio sia una “macchina” senza sentimenti: è uomo, marito e padre con le difficoltà della vita di tutti i giorni e che tutti incontriamo… è solo un pochino più impegnato!

Iniziamo ufficialmente con le generalità…
“Mi chiamo Decio Barili, sono nato a Foligno il 12 settembre 1963, segno zodiacale vergine”.
Vediamo se ho capito bene: Priore, Presidente Ente Fuga del Bove, giudice disciplinare, avvocato di professione, ciclista per passione, marito, padre… ooooh! Basta! Sono troppe attività per un uomo solo, come ci riesci? La giornata ha solo 24 ore!
“In realtà è semplice, accompagnato con la dovuta passione e la disponibilità delle persone giuste (e la pazienza dei familiari), si riesce “quasi” sempre a far quadrare il cerchio e a coricarsi la sera con tanta voglia di fare per il giorno dopo…”
Decisione sofferta, quella di lasciare il priorato al rione La Mora?
“No! Il termine sofferto non è quello giusto per rappresentare i sentimenti di questo momento, vedere davanti a me un rione che veramente è diventato una “SOCIETAS MORAE” ricca di spunti, potenzialità e serenità, mi trasmette piuttosto orgoglio e casomai un pizzico di malinconia”.
Ora sei alla guida della Fuga del Bove, cosa ti aspetti e cosa farai?
“Mi aspetto che la manifestazione dopo trentotto anni di storia si allinei al blasone della città di Montefalco, conosciutissima in Italia e all’estero grazie alle grandi risorse del suo territorio. Cosa farò? Tutto ciò che gli appassionati “quartieranti” montefalchesi riterranno utile condividere con me. Di sicuro non ci saranno problemi di sovrapposizione con le date della Giostra della Quintana di Foligno!”
Veniamo al clou della nostra intervista, la parte che riguarda anche la tua professione di avvocato… parliamo del tuo ruolo in commissione disciplinare della Federazione Ciclistica Italiana, come ci sei arrivato?
“Il mio nome è stato suggerito dall’amico Carlo Roscini, presidente della Federazione Ciclistica Regionale Umbra, moraiolo come tutti noi, il quale ha sollecitato i vertici del ciclismo italiano ad includere un giudice umbro all’interno degli organi disciplinari nazionali”.
Come siamo messi con il doping in Italia, nel ciclismo e nello sport in generale?
“Male in assoluto! Perché il fenomeno è presente e questo è un dato innegabile, invece in rapporto alla sensibilità dimostrata dalle federazioni di altri stati, devo dire che in Italia è da anni in corso un’importante opera di sensibilizzazione, prevenzione, e repressione delle condotte illecite in materia di doping. C’è ancora tanta strada da fare, comunque”.
Dato che il tema è così diffuso e incontrollabile si potrebbe pensare ad una sorta di legalizzazione del doping sportivo?
“La tua stessa riflessione ha preso le sembianze di una battuta provocatoria divulgata poche settimane fa da Ettore Torri (procuratore nazionale anti-doping del CONI) a proposito del mondo del ciclismo. Tutto l’ambiente l’ha qualificata come infelice ed io sinceramente la penso allo stesso modo”.
Come si comportano i giovani nei confronti del doping sportivo?
“I giovani si comportano in maniera speculare a quella a cui gli adulti li inducono, parlo sia dei genitori che dei tecnici; non sarà mai il ragazzo di quattordici anni, sognatore di grandi trionfi, a chiedere autonomamente di praticare scorciatoie per coronare i suoi sogni”.
Perché anche a livello amatoriale c’è tanta diffusione di sostanze dopanti?
“Su due piedi ti direi “perché siamo degli sciocchi e dei frustrati”. A pensarci bene è solo il cattivo utilizzo ed esasperazione dell’agonismo e dello spirito di competitività che è innato nell’uomo”.
Con quale faccia si ripresenta uno squalificato al rientro nel mondo dello sport?
“Bella domanda! Se capitasse a me di ripropormi in un ambiente dopo aver violato le regole del gioco mi ripresenterei, una volta scontata la pena, con l’umiltà e l’entusiasmo di chi vuole dimostrare di essere degno. Per lo più oggi la squalifica viene considerata (a torto) un mero incidente di percorso dal quale risollevarsi con il minor danno economico e di immagine. Attenzione: non parlo solo di ciclismo”.
Pensi che potrebbero chiederti di chiudere  un occhio un giorno o l’altro?
“Lo temo sinceramente, ma per fortuna l’organo a cui appartengo è collegiale”.
Infine, cosa succede quando si dimostra che la frode sportiva non c’è stata? Come si risarcisce l’atleta che nel frattempo è stato sospeso?
“Premesso che nel mondo dello sport le vittime di errori giudiziari sono casi più unici che rari rispetto a quanto accade nella giustizia ordinaria, quando purtroppo accade (o dovesse accadere), è impossibile pensare che esista un corrispettivo idoneo a risarcire l’atleta dalla devastante aggressione mass-mediatica che oggi accompagna e spesso anticipa le decisioni degli organi giudicanti”.

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