Sagra Musicale Umbra 2013: emozioni vibranti a spasso nei secoli | Intervista ad Alberto Batisti, il direttore artistico del festival
Un festival che resterà negli annali, la 68° edizione della Sagra musicale umbra, per la ricercatezza di partiture rare e per la presenza, quest’anno, di Krzysztof Penderecki, uno dei massimi compositori viventi, di origine polacca, che si è esibito nel chiostro del Sacro Convento di San Francesco ad Assisi. Un evento mozzafiato, dove lo spirito francescano ha incontrato la musica sacra, che ritroveremo tra qualche anno nelle pagine dei libri di storia della musica. Un concerto che ha lasciato il pubblico a bocca aperta, e che si inserisce nella rosa delle rappresentazioni più emozionanti di questa edizione, che ha celebrato anche il bicentenario della nascita di Wagner e Verdi e il centenario di quella di Benjamin Britten. Di quest’ultimo, il Festival ha messo in mostra, nella cornice della chiesa templare di San Bevignate a Perugia, la “parabola da chiesa” Curlew River, tornata a rivivere alla Sagra Musicale Umbra dove ebbe la sua prima esecuzione italiana nel 1965, curata dall’autore stesso. Un’opera vibrante, come tutti i concerti di questa edizione, che rimarranno impressi con inchiostro indelebile nel vissuto del pubblico che ne ha fatto esperienza.
Sulla Sagra Musicale Umbra abbiamo intervistato il direttore artistico, Alberto Batisti: Cosa ti ispira nella preparazione di un programma per la Sagra, che si contraddistingue ogni anno per la sua ricercatezza, anche di partiture rare?
Io ho una necessità biologica e caratteriale che penso caratterizzi anche il mio lavoro, quella di comunicare il mio amore per la musica agli altri. Sono incapace di tenere per me le mie conoscenze. Da quando mi incaricarono di fare delle stagioni a Prato, la mia città e da quando seguo la Sagra come direttore artistico, ho sempre legato i concerti all’educazione del pubblico. Forse sono presuntuoso ma credo che oggi l’esigenza sia quella di avvicinare queste iniziative, queste produzioni con un percorso ad hoc, aprendo delle finestre alle persone, che altrimenti non avrebbero altre occasioni per conoscere queste meraviglie che la musica ci mette a disposizione. La sfida in ogni edizione è di scegliere lo spettacolo adatto ad ogni location che abbiamo a disposizione. Io traggo l’ispirazione dai luoghi per la scelta dei concerti da destinare, affinché ci sia armonia per creare quell’immersione e quell’ipnosi tale da farti dimenticare te stesso, nel momento della rappresentazione. E’ una musica che ti vuole trasfigurare dalla tua realtà temporale, materiale, dal quotidiano verso un altro luogo. Un luogo però che noi abbiamo dentro, interiore.
Che effetto ti fa il ritorno della Sagra nel chiostro del Sacro Convento di San Francesco ad Assisi?
Mi sembra una conquista, un ritorno a casa, perché quello era un luogo della Sagra che poi era stato perduto ed io ho fatto di tutto perché si ritornasse lì. Un luogo indispensabile che è stato ritrovato.
Che effetto ti ha fatto, sentire in questo luogo così spirituale il grande artista polacco Krzysztof Penderecki?
Mi fa l’effetto di scrivere un pezzo di storia e di viverla direttamente, vivere qualcosa che poi resta per sempre negli annali. Ed è stata bellissima anche la chiusura del concerto di Penderecki con un pezzo in memoria di Giovanni Paolo II, che in quel luogo ha inaugurato un dialogo tra le religioni. Sono fili che si riallacciano.
In quale concerto ti sei emozionato di più?
Direi che ho provato emozioni diverse, anche in relazione ai luoghi che erano diversi, trasfigurazioni spirituali. Nel concerto degli Ensemble Amarcord (nella cornice dell’Abbazia di San Nicolò a San Gemini, ndr) mi ha colpito molto il pubblico, che non era assolutamente specializzato eppure era molto concentrato. Si è accesa una luce, quella sera. La sensazione che io credo tutti abbiamo provato durante quel concerto era una levitazione collettiva, quando la musica ti prende e ti eleva in alto. C’era un’essenza, un distillato frutto di secoli di perfezionamento dello spirito di Bach che questi artisti, seppur giovani hanno saputo conservare nel tempo. E mi ha colpito molto anche il Curlew River di Britten, una trasfigurazione tutta umana, la rappresentazione di un’umanità che accede al beneficio supremo della speranza, perché è la storia di una madre che cerca il figlio perduto fino ad impazzire. Una rappresentazione intensa, come punto di incontro di culture e di civiltà in cui si ritrova lo spirito purificatore capace di guarire le ferite e ridare speranza. Io credo che le pietre di questa chiesa (San Bevignate a Perugia – che ha ospitato il concerto, ndr), dopo questa esecuzione conterranno questa musica nei secoli.
La Sagra è anche preludio alla stagione di concerti a Perugia, per appassionati e neofiti, rivolta anche ai giovani…
Sono concerti diversi dalla Sagra, copriamo vari generi e repertori, l’offerta è molto differenziata, con nomi importanti e artisti giovani. E’ un servizio alla città. Sono concerti molto festosi in cui la città si ritrova, alcuni molto tradizionali, come la musica sacra nel concerto di Natale, o la Passione di Bach a Pasqua. Poi ci sono grandi solisti e musica da camera. E’ un collage, sono tante tessere di un mosaico che ha come obbligo quello di creare un’offerta il più possibile ampia e differenziata: quartetti d’archi, musica sacra, musica sinfonica. Ognuno ci si deve ritrovare, deve ritrovare il proprio gusto e le proprie inclinazioni. E’ una tradizione che continuo, ma che è stata iniziata dalla famiglia Buitoni. E’ una tradizione di qualità artistiche. Abbiamo iniziato anche una collaborazione con e nelle scuole, per presentare agli studenti la musica, in sintonia con gli insegnanti, affinché questo diventi un’integrazione con il loro programma scolastico. E’ un lavoro che sta dando dei frutti, chi viene a Perugia a vedere i nostri concerti resta sbalordito dalla grande presenza di giovani come pubblico.
Ma come nasce una partitura musicale? Lo abbiamo chiesto a Marcello Filotei, giornalista e compositore
Per quanto mi riguarda nasce da uno stimolo extra musicale. Io credo che una composizione non può esistere se non c’è anche un pensiero extra musicale di interpretazione del mondo, perché la musica e la vita sono in strettissima relazione. Io non credo nella teoria dell’ispirazione, del sentimento, del trasporto che ti porta a scrivere e comporre musica. Credo che una volta strutturata un’idea, per farla diventare musicale è una questione di artigianato. La sensazione, l’emozione penso che nasca nel momento in cui questo lavoro di artigianato riesce a trasformarsi in musica, ma non in fase compositiva. La composizione è fatta di intuizione e grande lavoro tecnico. Penso che la musica debba recuperare il ruolo sociale che ha perso. Quello che a me interessa è la riflessione universale dei fatti di cronaca, non il fatto stesso, ma cosa resta in sottofondo e a lungo quando le notizie in primo piano svaniscono.
di Alessandra De Gaetano