Entra quasi di soppiatto, vestito di nero, barba lunga e capelli spettinati. Si siede di fronte ad una moltitudine di teste femminili che riempiono la platea del Morlacchi fino all’inverosimile. Si porta la mano alla fronte per vedere tutti, quasi come se i riflettori puntati su di lui gli dessero fastidio. Il professor Tinterri introduce l’”incontro con l’attore”, protagonista Claudio Santamaria, che due ore più tardi sarà sul palco con un monologo di 90 minuti, “La notte poco prima della foresta”, tratto dall’opera omonima di Bernard-Marie Koltès. Santamaria è attore di talento, versatile, eclettico, che sa dimostrare le sue doti in varie tipologie di spettacolo, dal teatro al cinema, alla televisione, senza tralasciare le qualità di cantante e appassionato di musica. La sua voce è conosciuta, ha un timbro familiare e le parole che sa magistralmente usare sono incisive, sorprendenti, a volte sussurrate, altre urlate, ma sempre frutto di lucide e profonde riflessioni sul suo difficile lavoro di attore impegnato e sulle scottanti tematiche di natura politica e sociale. Sentendolo parlare e rispondere alle tante domande che gli vengono rivolte, non si può non rimanere affascinati da tanta intelligenza e intensità emotiva. Lo incontriamo per un aperitivo al termine del botta-risposta con il pubblico del Morlacchi e con grande disponibilità si concede ai nostri taccuini e alle pagine di fil rouge

(l’intervista, prima di farsi seria, è preceduta da una proposta per una partita di calcetto, visto che l’attore romano si definisce un praticante molto “appassionato”. Poi si passa agli argomenti importanti, in mezzo ai flash di moltissime ragazze entusiaste…)

Claudio, quale tra i personaggi che hai interpretato senti più tuo?

“Rino Gaetano. Mi sono preparato moltissimo, è stato un lavoro molto impegnativo a causa dei diversi livelli che questa interpretazione richiedeva, ovvero quello psicologico, fisico e vocale. Ho dovuto calarmi in un personaggio completamente diverso da quello che interpretavo fino a un mese prima (“Fine pena mai”, ndr). Eppure, al di là della stima per l’artista, quello di Rino Gaetano è un ruolo che mi ha appagato davvero molto”.

Sembri molto propenso a vestire i panni di personaggi “dannati”… è una tua scelta o i registi scelgono per te?

“Sinceramente sono scelte mie. Mi piacciono i personaggi poco solari e molto introversi, quelli “dritti” sono poco interessanti. Amo le commedie nere mentre non mi piacciono le risate fini a se stesse, tipo Zelig o certi film di cassetta”.

Cosa ti ha convinto quando hai scelto di fare “La notte poco prima della foresta”?

“La valenza politica, dell’opera e del protagonista. E poi le grandissime possibilità espressive concesse da un testo dalla struttura né lineare e tantomeno tradizionale; il senso di impotenza del personaggio per i soprusi e le ingiustizie sociali mi permette di immedesimarmi e mi concede uno sfogo, visto che la situazione descritta nell’opera è totalmente calzante con quella che molta gente dei nostri tempi vive quotidianamente”.

Scorrendo le tue interpretazioni, di certo quella di “Romanzo Criminale” è stata una svolta assoluta: a distanza di qualche anno e sulla scia del grande successo ottenuto anche dalla serie TV, cosa puoi aggiungere a quanto detto finora a tal proposito?

“Col senno di poi posso dire che, oltre alla soddisfazione di aver contribuito all’affermazione di un grande film, resta l’ottimo rapporto che si era creato con alcuni dei protagonisti, in particolare con Kim Rossi Stuart e Pierfrancesco Favino…”

…e con Michele Placido?

“Rapporto quasi conflittuale, ma che mi ha stimolato molto. Placido pretende tantissimo da chi lavora con lui, ma lui non si risparmia di certo”.

Veniamo al presente del cinema italiano… cosa pensi a proposito del fatto che, a livello di gestione finanziaria nazionale, quando c’è da tagliare, a farne le spese è quasi sempre il mondo della cultura e della ricerca? Pensi anche tu, come disse Elio Germano a Cannes, che spesso gli artisti italiani devono arginare i danni procurati chi ci governa?

“La cultura non è una spesa, è un investimento economico per il futuro di tutti. Se chi governa una nazione non capisce questo, non è in grado di governare. Il problema di fondo è che gente tipo quello lì (l’ex ministro Bondi, ndr), con la cultura non è che abbia molto a che fare…”

A proposito di progetti, qual è il tuo sogno nel cassetto?

“A dire il vero ci sarebbe un film che mi hanno proposto che mi interessa molto, spero che riesca ad avere i finanziamenti necessari. Parlando di sogni, un giorno mi piacerebbe che la politica italiana riesca a proteggere la nostra cultura e a renderla più viva. Non è poi una cosa impossibile, ad esempio in Francia hanno creato una serie di leggi che aiutano e tutelano il mondo dell’arte. La cosa che mi preoccupa è che quando parli con i francesi, ti chiedono che fine ha fatto la grande tradizione del cinema italiano, visto che loro sono affascinati dalla “scuola” italiana e dalla storia del nostro cinema. E mi pare che a casa nostra, invece, si faccia di tutto per distruggere e poco o niente per incentivare”.

Quale dei premi che hai ricevuto ti ha gratificato di più?

“La “Grolla d’oro” per l’interpretazione di Rino Gaetano”.

Un’ultima cosa, Claudio: il nostro direttore Nicola Angione è arrivato tardi a questo incontro perché era a Foligno per intervistare Gianluca Grignani. Vorresti dirgli qualcosa che possa rincuorarlo?

(un lungo momento di silenzio e uno sguardo impietrito introducono la frase che suggella l’intervista, ndr). “Non voglio vederti mai più, Nicola”.

Galleria fotografica di Elisa Cirilli – Intervista di Learco Tamburini e Elisa Cirilli

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SFOGLIABILE A PAG.15-16-18

 

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