Recensione Oblivion Show

Teatro Lyrick

Ascoltavo la radio, stamattina, passavano Tunnel of Love, che dura quasi otto minuti, beh, aveva davvero fretta quel DJ che ha tagliato intro e finale, l’ha fatta durare tre minuti. Sono mancati, insomma, cinque minuti, e per giunta i più belli… La prova che non c’è più tempo per prestare troppa attenzione alle cose..I libri, ed anche i dischi commerciali, si comprano nei megastore. I dischi vecchi, underground, rock, blues e soci, si scaricano. È più facile, non costa nulla, nessuno ti beccherà, non ora. Non c’è più tempo per dare la caccia ai pesci piccoli, non ce n’è mai stato. Non abbiamo nemmeno il tempo di ascoltare dischi, siamo sinceri, chi di noi ancora si ascolta un album dall’inizio alla fine? Chi? Uno su un milione? Magari. Si ascolta mentre si cucina, si guida, si legge, si chatta, si studia, si fa la doccia, si fa l’amore, mentre si fa altro. Non c’è più rispetto per quell’arte. Quel rispetto che c’era fino a prima dell’avvento del digitale, della globalizzazione, del pensare e dell’agire in fretta. Velocemente. Perché oggi si corre. Ed invece di andare in libreria si va in un centro commerciale; così, mentre compriamo un libro, facciamo anche la spesa e magari andiamo anche al cinema, tutto in una botta, nei grandi centri commerciali, oggi sono tutti grandi. Perché si risparmia tempo a fare così. Si risparmia tempo… E denaro. In un unico giro.
Quel tempo che si risparmia, lo si perde poi su Facebook. Un giorno di questi, stavo – come mio solito – perdendo un po’ (tanto) tempo sul famoso social network, quando cliccai su play distrattamente sopra un link condiviso da un amico e… La prima volta che li vidi.

D’una comicità che oserei dire geniale, impostata, studiata, fatta di tempo, prove, ritmo, sacrifici… Sembrerebbe agli antipodi del dono innato della comicità, quello inculcato nella concezione comune, del far ridere improvvisando. Ma qui no, eppure è lo stesso, fantastico risultato: un sorriso. Mi sono fermata a vedere un video dall’inizio alla fine, infischiandomene delle gesta eroiche dei tronisti di Uomini e Donne, propinate argutamente nel bel mezzo della fase digestiva pomeridiana che t’annebbia il cervello e t’impedisce di cambiar canale.    Ma quel video… Ogni tanto qualche gioiellino si trova, a volte per puro caso, altre cercando qua e là nella rete, basta cercare bene… Con Oblivion la comicità è di più: si intona. Quando le risate si mescolano all’arte, alla sincronia ed alla melodia… è lì che nasce lo spettacolo.

Ho saputo che sarebbero venuti al Lyrick di Santa Maria degli Angeli. Un’autentica volata a comprare il biglietto e catapultarmi in una sala affollata. Mentre il sipario era ancora chiuso, pensavo a come sia grande il potere di Internet. Loro non erano nessuno, se non cinque simpatici ed intonati giovincelli di Bologna finiti su youtube; ed ora eccoli qua, in un teatro di grande fama, al pari di grandi maestri di musical. Poi, quando il sipario si è sollevato, ho smesso letteralmente di pensare, poiché mi si è parato davanti un circo volante in cui si alternavano blob di canzoni, cantautori italiani ri-arrangiati a colpi di cazzotti, vinili umani, un reality show dove i personaggi erano ostaggio dei terroristi, le avventure di Rato l’Immigrato e la famosa e fenomenale riduzione musicale de “I Promessi Sposi in 10 minuti”. Uno show di grandi voci e tanta ironia, vera. Era dal Trio Marchesini-Lopez-Solenghi che l’Italia, un po’ assopita dalla TV, non partoriva una così geniale pièce di varietà. Assolutamente perfette le novità introdotte a tempo di record in questo spettacolo. Le otto tragedie di Shakespeare in otto minuti, reinterpretate musicalmente in stile “Porta a porta”, facendo leva sulla loro carica sanguinaria da cronaca nera, sono state il clou dello spettacolo insieme agli “Esercizi di stile”. In una lotteria funambolica, i nostri cinque mattatori sono riusciti a coniugare i cantanti e gli stili più disparati, interpretando “Se bastasse una canzone” di Ramazzotti nella polifonia tipica dei canti sardi, “Rose rosse” di Massimo Ranieri in stile Beach Boys, “Una zebra a pois” in stile rap-disco e Zucchero in canto gregoriano. E li ringrazio di cuore. Per tutto questo. Per le risate? Sarebbe scontato da dire, anche se tremendamente vero. Soprattutto, perché il sorso di Coca-Cola che bevi seduta davanti allo schermo di un PC ha un sapore leggermente diverso di quello che consumi sulla poltroncina di un teatro. Pertanto, mi sento solo di ringraziarli, per questa mistica, passeggera ed inspiegabile leggerezza che mi hanno donato.

 

foto concesse da www.oblivion.it
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