Premetto, mi rivolgo ad un pubblico che cerca in un articolo quel quid (tanto agognato tra i politici italiani) per il quale, dopo aver letto le parole di chiusura, si volge lo sguardo verso l’infinito e si viene assaliti da una incalzante raffica tamburellante di pensieri.

Sono un lettore abbastanza esigente e per questo, forse un po’ egocentricamente, quando scrivo tento di riproporre ciò che io avrei voluto leggere o leggerei volentieri.

E’ per questo che insieme a voi vorrei percorrere, articolo dopo articolo, una serie di tematiche che mi stanno fortemente a cuore, in un modo che sia intellettualmente stimolante e che sia capace di trasmettere un valore aggiunto (il famoso quid appunto) alle parole che utilizziamo troppo spesso nei loro significati più vuoti e banali, e che invece se “aperte” svelano significazioni molto profonde. Il tutto affrontato in chiave alternativa e frutto dell’elaborazione personale, senza velleità scientifiche, ma con uno spirito teso il più possibile ad una trattazione priva di vizi ideologici.

Il pericoloso tema che ho scelto per la mia “prima volta” insieme a voi, è quello è quello dell’Informazione con la “I” maiuscola, quella capace di arricchire il cittadino, la comunità e la democrazia. Accettando (nel senso più fisico del termine) l’autoreferenzialità della riflessione, vi fornirò alcuni elementi teorici della comunicazione intrecciandoli con nozioni storiche e contestualizzazioni.

Introdurrei l’argomento chiedendovi: vi è capitato di notare, leggendo un giornale d’informazione generalista o ascoltando un TG, la presenza sempre più costante di grafici, tabelle di dati e legende negli articoli?

Bene, qualunque sia la vostra risposta, lasciamola sospesa e insinuiamoci in un excursus nella storia del giornalismo.

Il giornalismo del vecchio continente presenta retaggi che risalgono al giornalismo propagandistico del XVI sec. che informava il popolo soprattutto di vittorie belliche rilevanti per affari esteri e nuove conquiste coloniali attraverso quelli che venivano chiamati canard (un po’ come il nostro “Il Sole 24 Ore” o il “The Wall Street Journal“). Quindi giornalismo economico ma non solo, in quanto venivano riportate notizie su miracoli, catastrofi, mostri ed eventi regali.
Ricordo ai lettori che nel ‘600, si andava affermando prepotentemente l’approccio coloniale europeo verso i tre vettori sud-ovest-est, ed i regni che intraprendevano tali campagne avevano un forte interesse a far percepire ai lettori (i pochi alfabetizzati), anche a scopo intimidatorio, la pervasiva potenza del proprio apparato amministrativo e militare. Per supplire al fenomeno dell’analfabetismo c’erano comunque illustrazioni che ritraevano le scene madre delle notizie. Proprio da tale espediente potrebbe essere scaturita l’osservazione critica che muoviamo a chi guarda solo le figure in un libro o giornale, paragonandolo ad un analfabeta.

E’ importante inoltre ricordare un ulteriore formato informativo-letterario peculiare del continente europeo, in particolar modo diffuso in Francia: il pamphlet.
Il pamphlet è un libello, un piccolo opuscolo, un volantino, sul quale viene redatto un breve saggio critico, con lo scopo manifesto di suscitare una reazione da parte del lettore, in modo tale da accendere la miccia di un dibattito politico-culturale.
Tale formula rispecchia profondamente un principio della teoria delle comunicazioni, chiamato agenda setting, secondo il quale i mass-media, attraverso la selezione delle “notizie notiziabili“, finiscono per influenzare ed orientare la pubblica opinione verso la preminenza di determinati argomenti piuttosto che altri.

Andando avanti nel nostro ampio arco temporale, soffermiamoci tradizione giornalistica anglosassone, alla quale si devono importanti passi avanti ed alla quale dobbiamo l’affermazione del cosiddetto giornalismo moderno.

Il 1702, anno di fondazione del Daily Courant di Samuel Buckley, viene considerato una data importante, poiché questo quotidiano divenne emblema del giornalismo moderno grazie alla distinzione tra fatti e opinioni, operata mettendo in prima fila la notizia e in seconda fila l’interpretazione. Proprio da quel momento sempre più la regola aurea del giornalista diventerà “rispondere alle 5W“: who (chi), what (cosa), when (quando), where (dove) e why (perché).
Credibilità ed imparzialità” era l’idea di Buckley, che corrisponde alla prima formulazione di una deontologia professionale del giornalista che nel tempo è stata poi tradotta con la formula di senso comune “i fatti separati dalle opinioni“.

All’interno della cornice che delinea questa regola è rappresentato il giornalismo moderno.

Ma anche se tale generica categorizzazione è importante per tracciare una linea di demarcazione con le precedenti forme di informazione, non credo che potrà essere completamente esaustiva per un pubblico curioso.

Infatti entrando nella profondità dei meccanismi che regolano la scelta, in termini di contenuto, delle diverse formule giornalistiche, esse sono in buona parte determinate dall’attribuzione di diversi pesi con i quali si affrontano ognuna di queste domande, nonchè dalla loro combinazione, della quale fornirò qui sotto solamente una parziale e sommaria esemplificazione.

who, informazione gossip
what, informazione cronaca
when, informazione storica
where, informazione geografica
why, informazione d’opinione

Inoltre l’applicazione dei precetti precedentemente descritti non elude comunque una possibile manipolazione dell’informazione, che potrebbe essere svolta anche in buona fede dallo scrittore. Perciò è bene affermare che la prima azione predicata al giornalista, il reporting, cioè la cronaca dei fatti, del cosa succede, senza l’insinuazione di giudizi di merito che vizierebbero appunto la sua funzione, non esiste nella sua forma più pura. Il filtro del giornalista nella ricostruzione delle vicende non potrà mai essere eliminato del tutto, ma chiaramente le regole lo aiutano ad allargare le maglie del suo setaccio per fornire una visione d’insieme meno parziale.

Negli U.S.A. degli anni ’80, nasce anche grazie a questa ricerca di un giornalismo più oggettivo, il Computer Assisted Reporting, da cui deriva l’odierno Data Journalism, giornalismo basato sull’elaborazione di grandi quantità di dati contenuti in database (per lo più detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni). Tale approccio al giornalismo ha per cardine il principio espresso magistralmente dall’astronomo e divulgatore scientifico Carl Sagan, secondo il quale «Extraordinary claims require extraordinary evidence», cioè affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie. Così si configura questo “giornalismo di precisione“, secondo il quale è l’elaborazione dei dati a far scattare l’inchiesta e non l’inchiesta a far scattare la ricerca dei dati.

Il Data journalism sta prendendo sempre più piede all’interno delle redazioni giornalistiche e si sta plasmando in modo tale da rendere più semplice ed immediata la fruizione del dato per il pubblico di tutti i generi, attraverso quelle rappresentazioni grafiche di cui vi domandavo al principio dell’articolo. Parole e foto non bastano più per raccontare il mondo. L’abbondanza di dati, l’oro del nostro secolo secondo l’inventore del web Tim Berners Lee e sempre più spesso all’origine della vittoria dei premi Pulitzer, ed è un’opportunità che il giornalismo non può lasciarsi sfuggire.

Questo distinguo che ho voluto compiere è funzionale all’obiettivo verso cui è tesa la redazione di questo articolo, cioè stimolare il lettore alla formazione di una forma mentis, una consapevolezza, che agevoli la navigazione nelle torbide acque dell’informazione, poiché purtroppo non è sufficiente confidare nel codice etico deontologico del soggetto giornalista, il quale potrebbe prestarsi agli interessi del privato come del politico nella costruzione capziosa di articoli da rivolgere al pubblico.

La capacità del lettore di osservare analiticamente la sfera mediatica è importante anche per una logica di darwinismo sociale informativo: l’ecosistema all’interno del quale vive l’informazione è alterato principalmente da due fattori, il pubblico ed i media. Mentre la tecnologia mediale modifica essenzialmente l’aspetto con cui la notizia si presenta (dalle pitture rupestri passando per la carta stampata arrivando al foglio elettronico ed i formati cross-mediali), il pubblico è capace di alterare in particolar modo i contenuti, con l’attività di selezione delle fonti dalle quali abbeverarsi e con la conseguente estinzione delle fonti meno apprezzate. In questo sistema complesso agiscono comunque dei fattori distorsivi della dinamica di selezione umana, il che comporta una devianza rispetto il sistema idealizzato sopra, ma l’attivazione del circolo vizioso che ho prima descritto sicuramente potrà ridurre il margine di manovra delle forze devianti.

E’ quindi fondamentale capire e distinguere le diverse formule di informazione, poichè nella giungla di notizie in cui viviamo, bombardati da televisione, web press, social media e chi più ne ha più ne metta, la perspicacia nell’attingere dalla multimedialità e dalla pluralità di soggetti mediatici è capacità peculiare del Cittadino 2.0, un cittadino migliore ingranaggio di una società migliore.

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