Nel piccolo comune di Montone si svolge ogni anno l’Umbria Film Festival. Turisti inglesi, che vengono a trascorrere le ferie estive nella zona dell’Alto Tevere, sono la stragrande maggioranza degli spettatori. Questo centro di 1700 abitanti vede presentarsi nelle sua piazza principale attori registri e interpreti di indiscutibile fama e talento; così la passata settimana sono stati ospiti personaggi del calibro di Ralph Fiennes (già attore de “Il paziente inglese”e di “Schindler’s List”, nonché di Lord Voldemort in “Harry Potter”) e Paul Laverty, sceneggiatore di moltissimi dei film di Ken Loach, a cui il sindaco ha consegnato le chiavi della città. Sono state quindi presentate le loro ultime fatiche: “Coriolano” tratto dall’omonima pièce teatrale di William Shakespeare, dove Finnes si cimenta per la prima volta anche come regista oltre che come attore, e “Route Irish”, regia di Ken Loach, sceneggiatura di Paul Laverty .
Forse non casualmente, ambedue le opere cercano di raccontare, anche se percorrendo strade differenti, il degenerare della nostra società in strutture e relazioni conflittuali sostanzialmente tribali.
L ‘opera, ispirata alla vita del generale romano Caio Marzio Coriolano, viene ambientata dall’attore-regista inglese in un contesto moderno, dove fucili e divise prendono il posto di spade e corazze. Come ha detto lo stesso Finnes: “La Roma che c’è in questo film non è la Roma dell’antichità o la Roma di oggi, è una capitale di intrighi politici, un luogo dove la gente normale cerca di far sentire la sua voce; è semplicemente un posto chiamato Roma”.
La scelta di rappresentare negli studi televisivi di un talk show l’incontro tra i veri protagonisti della vicenda, senatori e popolo, non nasce solo dalla necessità di rendere attuale la storia: diventa questo il luogo naturale, dove si rivela senza forzatura alcuna la vera indole della plebe, apparentemente indocile, ma sostanzialmente vile, non solo sensibile alle adulazioni a scapito della ragione e del buon senso e compiacente alle più opportunistiche menzogne del potere, fino ad arrivare a determinare l’espulsione di chi salvò la patria e con essa le loro vite; mai terzo il popolo è la vera forza di chi lo opprime e governa.
Nella tragedia shakespeariana, neppure l’idea dell’eroe riesce a creare coesione: Coriolano, nella sua intolleranza ad ogni compromesso, nella sua superbia, può diventare solo servo inconsapevole di questa o quella parte, finché nell’ultima scena, solo il nemico di sempre, Aufidio, si congiunge a lui attraverso la lama, (in una scena che rievoca la vicenda di Achille e Pentesilea e Tancredi e Clorinda) dove spada, morte e sangue, sono l’immagine riflessa e nascosta di ciò che si vuole in realtà rappresentare: dice Finnes “Coriolano vorrebbe essere una spada ma alla fine questa è l’elemento che unisce Coriolano ad Aufidio, un elemento erotico”, opposto a quel sentimento di filia che serve a superare la diffidenza e l’ostilità verso l’altro.
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