Ci ha fatto cantare e ci ha fatto sognare: Federico Zampaglione nel suo viaggio a bordo dei Tiromancino, è riuscito a sfiorare la corde delle nostre anime, con la sua voce da eterno sognatore e le sue note mai banali. Eppure, dal punto di vista artistico, il passaggio dal sogno all’incubo è stato quanto mai rapido e inaspettato. Federico racconta ai nostri taccuini di una passione, quella per il cinema, in particolare per l’horror made in Italy, un genere che ha visto l’affermazione negli anni settanta e ottanta di maestri universalmente riconosciuti, quali Dario Argento e Mario Bava. “Shadow” è il risultato di questa passione cinematografica, una pellicola di spessore che sta ottenendo riconoscimenti e consensi in tutto il mondo: del resto Zampaglione, in cabina di regia, ci aveva già sorpreso in positivo con “Nero bifamiliare” nel 2007, la commedia noir (che il regista avrebbe voluto ancora più noir, ndr) che vedeva splendida protagonista sua moglie Claudia Gerini, sulle note di Tiromancino. Per parlare di questa nuova esperienza ma anche di altre questioni, abbiamo incontrato Federico Zampaglione (in forma più che mai…) a Deruta, grazie anche alla disponibilità di Luca Possanzini e di Alex Visani, ottimo organizzatore dell’incontro.

Federico, eccoci a un nuovo traguardo della tua carriera, “Shadow”, tre anni dopo “Nero bifamiliare”. Cosa ricordi della tua prima volta da regista?
«”Nero bifamiliare” è stato il film con il quale mi sono approcciato al mondo del cinema, una tappa fondamentale per imparare a dirigere, a stare anche fisicamente sul set, a prendere confidenza con un’arte così complicata come quella della regia. Ora siamo un po’ più sul lato “dark”, che è quello che artisticamente mi appartiene di più. “Shadow” esprime la mia voglia, da appassionato innanzitutto, di dirigere un horror».
Abbiamo sentito apprezzamenti di altissimo livello a proposito del tuo nuovo film: ti sei ispirato a dei maestri del genere, o quantomeno hai individuato dei punti di riferimento?
«Possiamo parlare davvero di maestri, visto che per me personaggi come Argento, Fulci, Bava, Diodato, hanno stabilito quelli che sono ufficialmente riconosciuti come i capisaldi del genere a livello internazionale. “Shadow” è indiscutibilmente ispirato a quella tradizione degli anni 70 e 80 in cui il cinema italiano era molto prolifico nel genere horror».
Cosa è cambiato negli anni successivi?
«Il cinema si è industrializzato, altri generi destinati a un pubblico più ampio hanno preso il sopravvento, e questo è successo per ragioni esclusivamente di mercato. Eppure l’horror è restato sempre nei cuori degli appassionati, sia in Italia che all’estero. Io, insieme a pochi altri registi, sono andato a rimettere in movimento questa passione».
Come sta andando il film?
«”Shadow” è uscito e ha avuto un’ottima visibilità, oltre a giudizi molto lusinghieri. Non nego che è stata una battaglia molto dura, ma sono davvero soddisfatto di ciò che abbiamo fatto».


Stai ricalcando quella che, da molti anni, è una tendenza delineata: molti prodotti del cinema italiano vengono valorizzati di più all’estero che nella nostra nazione…
«All’estero c’è grande stima per questo cinema di genere, mentre c’è un certo disprezzo verso quelle commedie “leggerine” che hanno caratterizzato la produzione italiana degli ultimi anni. Molti si interrogano sul perché un filone così glorioso come quello horror sia stato quasi abbandonato dalle nostre case cinematografiche. Ovviamente la colpa è solo di un sistema molto generalizzato che tende a produrre film, ma anche musica, senza personalità, abbordabili per tutti, da largo consumo, ma di una piattezza demoralizzante. Stesso dicasi per ciò che passa in TV».
Elio Germano (Palma d’oro a Cannes con “La nostra vita”, di Daniele Luchetti, ex-aequo con Javier Bardel), durante la premiazione ha pronunciato un discorso molto duro, rivolto ai meriti degli artisti italiani, che contrastano con la mediocrità di una classe politica dirigente che tanto danno reca all’immagine dell’Italia nel mondo. Vuoi commentare questo episodio?
«Mi trovi assolutamente in linea con quanto detto da Elio Germano. Basti pensare che un piccolo film indipendente come il nostro, appena uscito ha ottenuto un notevole successo (in sei giorni quasi 50.000 spettatori), dopodiché nelle settimane successive abbiamo iniziato a ricevere telefonate di protesta, poiché “Shadow” è stato spostato in orari notturni, a vantaggio di produzioni americane tipo Principe di Persia o Robin Hood. Ovvio che una produzione internazionale ha diritto a una buona visibilità, comprendo le ragioni della cassa, ma sarebbe necessario che questo governo e gli uomini che lo rappresentano nel nostro settore, cominciassero a capire che dietro le piccole produzioni nazionali c’è gente che lavora, che investe, che scommette sulla qualità e sulla professionalità, che dà lustro all’immagine italiana nel mondo».
Credi che la linea protezionistica intrapresa, ad esempio in Francia, sia la strada giusta da percorrere?
«Non parlerei di protezionismo, ma di spazi legali. In Francia, ma anche in Svezia, c’è una tutela del proprio prodotto artistico. Loro prevedono uno spazio minimo legale nella programmazione dei multisala, destinato alle produzioni nazionali. Da noi, con queste non-leggi, diventa impossibile valorizzare le piccole produzioni. Quindi: o fai la commedia di Natale, oppure rischi grosso anche in termini economici. La polemica di Germano è assolutamente giusta, visto il contesto “culturale” italiano saturo di culi e tette e politici che urlano. In realtà il pubblico vorrebbe anche altre cose, ma se gli viene propinato solo uno spettacolo di bassa lega, nascondendo libri, dischi e film di qualità, il risultato è quello che sta sotto gli occhi di tutti…»

Che è successo al nostro paese dal punto di vista artistico e culturale?
«Siamo passati da una situazione ideale in cui il popolo eleggeva i propri rappresentanti a sua immagine e somiglianza, a una realtà in cui chi ci governa sta creando un elettorato a propria immagine e somiglianza… Inutile nascondersi dietro mezze parole, vogliono un popolo di ignoranti, anestetizzato a suon di pop-corn e rutti davanti allo schermo, così da poterlo manipolare meglio, pronti a credere a tutte le cazzate che gli raccontano».
Torniamo alla magia del cinema: da spettatore, qual è stato il primo film che ti ha inchiodato alla poltrona?
«Posso dirti qual è stato il primo film horror che mi ha sconvolto: “Suspiria”. L’ho visto in un cinema all’aperto e ricordo che da lì è nata la mia passione per il genere».
Quindi possiamo dire che “Shadow” è il frutto finale di questa scarica di adrenalina…
«Volevo fare un horror che non fosse prevedibile, che si spostasse all’interno di sottogeneri creando degli snodi in cui lo spettatore rimanesse senza punti di riferimento. In realtà ci sono anche dei richiami all’orrore della realtà che, ahimè, supera sempre l’immaginario… spesso, a paragone di ciò che si legge sui giornale o si sente in TV, mostri, licantropi e vampiri sembrano personaggi simpatici…».
Andiamo oltre: quali sono i tuoi prossimi programmi?
«Sto lavorando al nuovo disco di Tiromancino che dovrebbe uscire al più presto, e la voglia di raccontare attraverso il palco e la musica si sta facendo sentire».
Una curiosità: sappiamo che hai origine umbre, com’è il tuo rapporto con la nostra regione?
«Talmente bello che ho acquistato una casa a Trevi! L’Umbria e la sua gente sono nel mio cuore, chissà che un giorno riesca a realizzare un film ambientandolo in questo splendido contesto…»
Ce lo auguriamo! Infine la costante curiosità di fil rouge: immagina dove sarai tra vent’anni, e come sarai…
«Tra vent’anni spero di essere in un posto dove le mie passioni mi hanno condotto. In fondo ciò che voglio sopra ogni cosa, è mantenere un contatto diretto con tutto ciò che amo davvero».

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