Perché non utilizzare un’etichetta climatica sulle confezioni alimentari? Sarebbe un modo per permettere ai consumatori di conoscere davvero l’impatto ambientale di ciò che mangiano. In particolare la Danimarca, da tempo, è al lavoro per rendere obbligatoria l’adozione di etichette che quantifichino l’impatto sul clima dei prodotti, attraverso un rating. Si pensa a etichette su cui vengano elencate le emissioni di gas serra associate alla produzione di ingredienti di ogni prodotto, attingendo a database e ricerche che calcolano le emissioni di gas inquinanti di centinaia di alimenti.

Non è facile calcolare l’impatto, considerato l’intero ciclo di vita dell’alimento. Il calcolo dovrebbe comprendere l’intero filiera, compreso l’impatto dei fertilizzanti dell’attività agricola e i gas emessi dal bestiame negli allevamenti, poi il trasporto, il confezionamento e la trasformazione alimentare.

Se però l’etichetta climatica diventasse normalità, i consumatori potrebbero fare scelte ancora più consapevoli davanti agli scaffali dei supermercati. La pandemia ha portato milioni di persone a ricercare stili di vita più sani e sostenibili. Il 67 per cento degli europei apprezzerebbe le etichette climatiche, solo il 9 per cento si dice contrario: lo fa sapere il report del 2020 realizzato da Carbon Trust, organizzazione di supporto alle aziende, alle organizzazioni e ai governi per ridurre le emissioni di gas inquinanti. Due terzi dei consumatori sarebbero ben disposti verso aziende che lavorassero sulla riduzione della, carbon footprint dei prodotti. Francia, Italia e Spagna sono i Paesi in cui il ‘sentiment’ comune è la preferenza di un’azienda che abbia anche buone performance ambientali.

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